la 1 Scuola di Marcia nata in Italia - Malaspina Giuseppe

Marcia - Atletica Leggera
Malaspina Giuseppe
Malaspina Giuseppe
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                Malaspina Marciatore Autodidatta di Abdon Pamich


 
 
E’ da tempo che volevo scrivere qualcosa su Giuseppe Malaspina, ma per una ragione o per l’altra, non l’ho mai fatto, forse anche perché non ero sicuro che la cosa gli facesse piacere, un po’ schivo com’è sempre stato, dal mettersi in mostra. Ora, che le sue e le mie passioni si sono calmate, potendo vedere le cose in retrospettiva in modo più nitido, voglio affrontare questo rischio. Il compito è arduo, non trattandosi di pura cronaca, dovendo parlare di una persona a me cara, e quindi trovare il modo giusto di inquadrare il personaggio, nel quale gli altri e soprattutto lui stesso si possano identificare. Per i più giovani voglio ricordare che cosa ha fatto Giuseppe Malaspina detto il “mala” nell’ambiente della marcia. Come atleta è stato un marciatore di notevole classe, molto sfortunato quanto volonteroso. Faceva parte di quella schiera di atleti che perse il treno dell’Olimpiade di Tokyo del 1940 a causa della guerra, che con i suoi cinque anni di durata, gli bruciò il suo momento magico. Al risveglio dal lungo letargo, oltre che bastonato moralmente, egli si ritrovava con una ferita al piede, che gli impediva l’articolazione tibio-tarsica, cosa che gli ha compromesso in maniera determinate la ripresa, ed anzi lo doveva privare, per il suo riacutizzarsi, di parecchie vittorie di prestigio proprio in prossimità del traguardo. Lui era un duro, come suol dirsi, per cui le contrarietà non lo fecero arrendere e, per dirla con le sue parole, ci voleva ben altro per fargli mollare l’osso.
 
Era un atleta autodidatta, che si adattava a tutte le distanze, ben figurando dai 3 ai 100 Km, volitivo, intelligente, con un senso tattico di gara che riduceva gli avversari all’esasperazione, dominandoli talvolta sulle loro distanze preferite. Visse la sua vita sportiva in un’epoca difficile sotto tutti i punti di vista, anche da quello tecnico. Non c’erano scambi di conoscenze con i paesi più evoluti, contatti internazionali, specie per i marciatori ce n’erano ben pochi. L’assistenza di qualsiasi genere non esisteva. Bisognava  inventare e sperimentare tutto sulla propria pelle. Per di più c’era la guerra, la fame e poi le frustrazioni del dopoguerra. Ciò nonostante Malaspina riuscì a vincere un Campionato Italiano dei 50 Km, vestire 4 volte la maglia Azzurra e vincere un grande numero di Campionati Italiani in tutto 15. E non è  poco, perchè la concorrenza in quel periodo era fortissima e numerosa su tutte le distanze. Il suo era il tempo di Rivolta, Gobbato, Crolla, Mazza, Kressevich, Brignoli ecc: un periodo d’oro per la Marcia Italiana, a cui doveva seguire, nonostante le vittorie Olimpiche, un periodo nero, da cui stiamo appena ora uscendo. Conobbi il “Mala” nel lontano febbraio 1952.  Lui atleta ancora praticante mi fece marciare una domenica sul pistino del Coni di Corso Monte Grappa a Genova, in un’eliminatoria de Trofeo Pavesi. Nonostante fossi stato doppiato dal vincitore per quasi due volte, egli non ebbe occhi che per me. Ricordo che mi disse: “Torna mercoledi ad allenarti, che fra un po’ quello lì, non lo vediamo nemmeno!”
 
Nacque così un legame, che nonostante le vicissitudini, che  per vari periodi ci hanno diviso, è rimasto tuttora intatto, Malaspina è stato per me molto più di quello che io stesso potevo immaginarmi. Lo capisco chiaramente ora, oltre che allenatore, egli è stato per me un amico, un confidente, a cui ricorrevo in qualsiasi frangente. Ne riportavo sempre una grande serenità e come conseguenza una maggior forza. Quante volte, specie  i primi anni, la sua mancanza fu determinante in senso negativo al fine dei risultati (vedi Campionati Europei di Berna e Giochi Olimpici di Melbourne) ma allora le strutture federali erano molto limitate e non c’era spazio che per pochi. Malaspina non era solo il mio allenatore, curava tutti nello stesso modo, non era uno che, trovandosi con il campione in casa, ci faceva la cresta su. Era un uomo serio che lavorava sodo e soprattutto credeva in quello che faceva  e se fosse stato creduto anche da chi reggeva le sorti della marcia, questa non avrebbe attraversato un periodo nero così lungo. Atleti come De Gaetano, Cignoli erano suoi allievi e con loro che nel  1955 conquistammo solo in tre  un ambito secondo posto nel campionato italiano podistico, in barba a squadre con tradizione di marcia decennale e forti  numericamente oltre che qualitativamente.
 
La sua è stata la prima vera scuola di  marcia in Italia, ma non fu utilizzato come meritava, Fu anzi tenuto in ombra, perché dava fastidio a qualcuno con quel carattere un po’ spigoloso, se vogliamo, ma schietto e senza compromessi. Purtroppo la politica ha fatto e farà sempre parte dello sport, ma Malaspina non farà mai parte della politica. Faceva però molto presa sui giovani, che sono puri e senza compromessi ed essi ne venivano attratti e gli volevano bene . Tutti e non solo i suoi allievi, gli chiedevano consigli, talvolta di nascosto dai propri allenatori, ed egli era sempre prodigo ed aperto nell’elargirne.
 
Gareggiando con lui al fianco, non c’erano problemi bastava pensare a marciare che i resto lo faceva lui. Bastava dargli retta per rendere il massimo. Egli aveva una visione della gara cosi nitida e chiara una profonda conoscenza degli uomini, ed una sensibilità sportiva eccezionale che permetteva di non sbagliare mai tattica.
 
Altra grande dote per un allenatore : non aveva mai fretta, non pretendeva da noi di più di quello che potevano dare, anzi molte volte calmava le nostre esuberanze giovanili, guardava sempre molto lontano non alla gloria effimera di risultati precoci. Da noi pretendeva soprattutto la correttezza dello stile. “Arrivare indietro, ma fare bella figura” ci diceva e ne eravamo tanto convinti che più del risultato ci importavano gli elogi per il nostro stile. Con Malaspina a capo, mi sono creato una nuova famiglia. Lui il padre, Cignoli, De Gaetano i miei fratelli. Abbiamo vissuto anni felici, pieni di sport di amicizia, di gioia e serenità che si può solo trovare nelle cose semplici e genuine. Poi le vicende della vita ci hanno divisi , i miei fratelli sono andati altrove. Il più vicino al “Mala” sono rimasto io che per vent’ anni ho goduto della sua presenza in tutte le gare. A questo periodo d’oro sono seguiti anni di grandi risultati, ma forse di meno gioia, risultati che sono stati il frutto di quella scuola di vita, oltre che di sport che è stato per noi Malaspina.
 
Da qualche anno egli ha lasciato l’ambiente, dopo aver portato altri alla gioia della Nazionale Juniores. L’ha lasciato un po’ disgustato e non ha torto. Ora si dedica ad altro sport, ma basterebbe niente per infiammarlo dell’antica passione.
 
Forse uomini come lui non fanno più testo. Gli ideali, il disinteresse non esistono più, nemmeno nel mondo dello sport. A questi si è ispirato il “ Mala”, in quarant’anni di vita dedicata alla marcia, venti di atleta e venti d’allenatore.
 
Un fatto rimane, inequivocabile: è stato il primo che ha creato una scuola di marcia in Italia, e quando dico scuola, intendo non un gruppo eterogeneo di marciatori, (anche se validi) con la stessa maglia, ma un modo di concepire la marcia, l’allenamento, la vita se vogliamo, comune a tutti i suoi discepoli.
 
Non voglio dilungarmi oltre sulla sua figura, sui ricordi, perché troppe parole potrebbero non rendergli giustizia, a lui così essenziale, così positivo.                                                                       
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