Abdon Pamich ricorda (Peppe Malaspina)
Ho conosciuto Malaspina ad una
fase provinciale del Trofeo Pavesi, era il febbraio del 1952, ed esattamente
dopo 30 anni moriva stroncato dal male che lo aveva tormentato per più di un
anno.
Apparentemente burbero e scontroso aveva un rapporto facile con i giovani, in
mezzo ai quali si trovava a suo agio, perché era un idealista, e solo nei
giovani trovava ancora quegli ideali in cui lui ha sempre creduto anche da
vecchio.
Era un appassionato dello Sport e
della Marcia in particolare, la sua sfortuna è stata l’aver fatto parte della
schiera di atleti che hanno visto sfumare gli anni migliori durante la guerra
riuscì a vincere, nonostante ciò, un campionato italiano dei 50 Km nel
1941, e ad indossare la Maglia Azzurra dopo la guerra, pur avendo subito una
grave ferita durante un bombardamento che gli causò non pochi guai durante le
gare e cosa che gli impedì di diventare un marciatore di fama internazionale.
Nel 1950 tornato a Genova da
Milano dove aveva risieduto per 20 anni, inizio la sua carriera di allenatore,
ed ebbe modo di trasmettere in noi suoi allievi, il suo
smisurato entusiasmo. Quando metteva gli occhi su un ragazzo non sbagliava ma,
noi lo chiamammo “il Mago” per questa sua dote di riconoscere subito i talenti
e per la sua capacità di far camminare anche i…. Morti.
Quando vide me, quel febbraio del
’52, che pur ero arrivato secondo su due partecipanti nei 5 Km, abbondantemente
doppiato da un principiante come me, non da lui, ma da me venne e mi disse: “ci
vediamo martedì, e vedrai che quello lì non lo vediamo già la prossima gara.”
Anche se a quei tempi non avevo
ambizioni di battere chicchessia, (era la prima volta che marciavo) era sempre
molto gratificante sentire, uno che ti parlava in un modo come se tutto ciò che
diceva fosse scritto in un libro, e da quel giorno fu sempre così. “Il Mago”
prevedeva tutto, ma era un mago onesto non un ciarlatano, non aveva fretta di
vedere i risultati, anzi era lui che frenava la nostra esuberanza, e i suoi
obiettivi erano sempre a lunga scadenza, mirava alla stabilizzazione dei
risultati non ad un exploit immediato, ed aveva un grande rispetto per la
personalità di ciascuno dei suoi allievi. Era un patito dello stile, “arrivare
indietro, ma marciare bene” era il suo motto, e su questo motto fondò la sua Scuola
di Marcia, che in 3-4- anni diede 3 Azzurri alla Nazionale, e la sua fu
veramente una scuola, una Scuola senza mezzi e risorse di alcun genere, con
difficoltà per gli allenamenti, in quanto l’unica pista di Genova era
privata e ricordo ancora le umiliazioni e le conseguenti frustrazioni che
dovevamo subire pur di poterci
allenare. Ma la volontà e l’entusiasmo ci fecero superare ogni difficoltà.
Lo sport in quel periodo è stato
in quel periodo è stato per noi una scuola di vita e ci ha legato in un modo
tale che avevamo costituito una nuova famiglia dove Malaspina era il padre e
Cignoli, De Gaetano ed io eravamo fratelli. Ed ancora oggi ci sentiamo così,
perché i risultati sono venuti, e sono passati, ma questo legame è rimasto
intatto.
Non voglio scivolare nel
patetico, ma ho voluto evidenziare come Malaspina per l’atletica è stato un
uomo che aveva quelle doti innate di allenatore che non si acquistano, né con
la scienza, né con l’esperienza, che viceversa si possono acquisire, ma che non
fanno da sole veramente grande un allenatore. E’ lui è stato un grande
allenatore. Con lui abbiamo vissuto una vita intensa, fatta di stima reciproca,
in un’interazione perfetta dove tutti i canali della comunicazione erano
aperti.
Ci univa una reciproca profonda
conoscenza di noi stessi, fra di noi non c’erano barriere, segreti,
mistificazioni, posizioni o apparenze da difendere. Ci eravamo come si suol
dire messi a nudo l’anima reciprocamente. Gli anni in cui abbiamo vissuto
questa comune esperienza sono costellati di episodi, aneddoti, con i quali si
potrebbe scrivere un libro voglio ricordarne uno di quelli che più è rimasto
impresso.
Eravamo a Berna per i campionati Europei del 1954. L’ultimo
mese, purtroppo sono andato in allenamento collegiale a Torino e sono stato
lasciato in balia di me stesso, in quanto Malaspina non ha potuto seguirmi. Per
varie ragioni avevo perso la condizione che avevo acquisita precedentemente, e così
malconcio mi ero presentato in gara. Malaspina il giorno della gara è arrivato
a Berna, e non so come, parlando un po’ in italiano ed un po’in genovese, si
procuro una bicicletta con la quale credeva di potermi seguire in gara, anche
se a debita distanza stanza. Una volta partita la 50 KM era riuscito ad
immettersi sul percorso, ma fu subito braccato dai gendarmi, e non l’ho più
visto o, meglio, sentito che nel finale di gara di cui ho un ricordo molto
penoso. Era ormai notte fonda, resa ancora più cupa dalla foresta di Neufeld
entro la quale si svolgevano gli ultimi chilometri della gara, e marciavo molto
stanco, allo stremo delle forze. Il Percorso era indicato da boy-scouts che con
una lanterna a petrolio illuminavano la tabella dei chilometri. Il Tempo che
impiegavo a percorrere la distanza fra un boy-scout e l’altro era
interminabile, e quando finalmente vedevo in lontananza il tremulo barlume
della lanterna, avevo sempre la speranza che fra lo scout precedente e questo
in vista fossero passati almeno 3 chilometri, ma puntualmente la delusione era
cocente, i boy-scouts c’erano proprio tutti ad ogni chilometro. E Intanto
navigano in settimana posizione, senza vedere alcuno, anche i giudici avevano abbandonato
il percorso andandosene coi primi, nel buio della foresta, quando mancavano
oramai 3-4 KM al traguardo, udii un ciabattare aritmico avvicinarsi alle mie
spalle, che assomigliava a tutto fuorché ad un passo di Marcia. Non sapevo se
sperare di vedere finalmente un essere umano e temere di essere raggiunto da un
passo di Marcia. Non sapevo se sperare di vedere finalmente un essere umano o
temere di essere raggiunto da un avversario che mi soffiasse il tanto faticato
7° posto perché, quando sei stanco, non ti importa più di niente, della Marcia,
della posizione, ma c’era solo quella 1° Maglia Azzurra che stavo indossando
che voleva e doveva ad ogni costo essere portata al di là del traguardo.
Qualsiasi altra maglietta si sarebbe rassegnata a non arrivare. E cosi mentre
marciavo come un automa nel buio della notte udii un grido:
belinun . Nu curi ( IN GENOVESE non correre) era la voce di Malaspina che
finalmente sfuggendo anche all’arresto, era riuscito nella notte a
ritrovare il percorso, e che (come ho saputo poi) piombando alle spalle del
Romeno Baboe, colto in fallo si cristallizzò e cosi potei conservare il 7°
posto più faticato della mia lunga carriera di marciatore, un 7° posto per un
esordiente, perdi più in cattive
condizioni non era niente male, ed anche questo lo devo a Malaspina, che in
quella notte di streghe , nella foresta di Neufeld ha fatto il mago.