Pietro Cambiaso - Malaspina Giuseppe

Marcia - Atletica Leggera
Malaspina Giuseppe
Malaspina Giuseppe
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di Pietro Cambiaso

Ho incominciato a praticare la marcia non ancora quindicenne a gennaio 1965 grazie alla conoscenza di Abdon Pamich, sotto la cui guida sono stato fino alla fine del medesimo anno per il suo trasferimento a Roma. Di lui ho ammirato, oltre a molte altre qualità, la capacità di concentrazione e ho cercato di acquisirla.
 
 
Sono stato successivamente allenato da Giuseppe Malaspina per sei anni dal 1966 fino al 1971 compreso. Nel 1972 ho iniziato il servizio militare.
 
 
Non c’è mai stato bisogno di disperdersi in grandi discorsi in quanto i nostri comportamenti erano adeguatamente eloquenti.
 
 
L’attività sportiva per Malaspina era una cosa seria. L’impegno doveva essere continuativo per poter produrre risultati validi. Per questo motivo, l’allenamento era un elemento fondamentale. La marcia è una specialità molto tecnica sottoposta a regole severe, che sono state parzialmente modificate nel corso degli anni.
 
Da parte mia lo studio era importante quanto lo sport e dovevo trovare il giusto equilibrio tra l’una e l’altra attività. La questione diventò di particolare attualità col passare del tempo a fronte dell’intensificarsi della frequenza degli allenamenti.
 
 
La mia attività è stata caratterizzata da un numero di sedute crescenti (tre alla settimana nel primo anno e successivamente quattro e cinque).
 
 
Gli allenamenti feriali si svolgevano per lo più in pista allo stadio “Giacomo Carlini” di Genova. Mentre io percorrevo un certo numero di giri nella corsia esterna della pista, Malaspina camminava trasversalmente sul campo di calcio all’interno dello stadio in maniera da potermi osservare da vicino due volte ogni giro e talvolta interveniva con suggerimenti soprattutto relativi allo “stile” di marcia. Le caratteristiche tecniche (il bloccaggio del ginocchio, il continuo contatto col terreno, il pendolo delle braccia) erano oggetto di una cura particolare e continua. L’attenzione di Malaspina riguardava anche la scioltezza del fisico e il cosiddetto “piede a martello”.  In particolare apprezzava una mia qualità: la capacità di saper mantenere una cadenza di marcia costante e veloce, cosa che mi ha molto aiutato nello svolgimento delle gare di lunga durata. D’altra parte abbiamo cercato insieme, riuscendo in parte, a affinare le doti di cambio di ritmo, che mi erano meno consone.
 
L’allenamento in strada si svolgeva per lo più sulla via Aurelia soprattutto nella mattina dei giorni festivi con partenza spesso a ore antelucane per beneficiare di un minor traffico veicolare. Il percorso, già collaudato nel tempo da atleti ben più performanti di me, era caratterizzato da pochi tratti in pianura e alternanza di salite e discese. (“Tante salite, tanta salute.”). Generalmente prevedeva andata e ritorno da Genova a Recco. In alternativa a volte percorrevo alcuni giri di un percorso su Corso Italia, tra la foce e Boccadasse. Durante i lunghi allenamenti domenicali sovente mio padre (il mio primo grande tifoso) mi seguiva accompagnando in auto Malaspina, anche in questo caso prodigo di consigli e di qualche opportuno rifornimento per sostenermi materialmente e psicologicamente.
 
 
Voglio anche ricordare i tanti chilometri che ho marciato in allenamento e in gara seguito da Malaspina in bicicletta, che era attento e vigile perché io fossi sempre concentrato per ottenere in ogni momento il massimo da me stesso.
 
 
Mi sento in dovere di dire qualcosa relativamente alle trasferte fuori sede. Malaspina, molto esperto grazie alla sua lunga milizia sportiva come atleta e allenatore, cercava di caricarmi al meglio senza farmi mai pesare troppo l’atmosfera di tensione che poteva crearsi in determinati momenti.
 
 
Il risultato di tutto ciò è stato il raggiungimento di quello che era il nostro obiettivo condiviso di migliorare le prestazioni e, grazie all’esperienza pratica e tecnica di Malaspina, l’esercizio della marcia mi ha fatto progredire fino al raggiungimento della Rappresentativa Nazionale giovanile nel 1970. Ho avuto due occasioni (Triangolare Italia-Francia-Svezia a Spoleto il 31.5.1970 e triangolare Gran Bretagna-Italia-Germania Federale a Londra il 20.6.1970) che naturalmente mi sono rimaste impresse.
 
 
Per quanto riguarda una certa fama di “genovese mugugnone” che alcuni gli affibbiavano, col tempo ho capito che si trattava di una maschera, che gli faceva comodo per evitare sterili discorsi, che non si adattavano a una persona pratica e concreta come lui.
 
 
Posso dire che la marcia in certi momenti è faticosa, ma a chi la pratica con passione può generare anche molto piacere in misura superiore allo sforzo stesso. Quelli che mi hanno preceduto mi hanno trasmesso valori umani importanti, tra questi la condivisione delle passioni, la rivalità circoscritta all’ambito sportivo, le relazioni con il prossimo e l’abitudine all’impegno che aiuterà anche nella vita quotidiana.
 
 
 
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